
martedì 11 novembre 2008
lunedì 10 novembre 2008
lunedì 29 settembre 2008
HUME

Hume sostiene che l'uomo è portato ad associare le idee e questo avviene senza fatica. si fa senza fatica e la mente umana che agisce attivamente è la forza che garantisce questa connessione.
Tre principi di associazione:
* Somiglianza: se vedo una foto nel guardarla mi viene in mente quella persona. Il passaggio dal guardare la foto e pensare alla persona mi viene naturale, lo faccio senza fatica. Perciò le idee somiglianti tendono ad associarsi fra loro.
* Contiguità spaziale o temporale: ho fatto una foto in cui una chiesa mi è uscita solo per metà, l'altra metà me la ricordo io e perciò alla fine la conosco interamente (contiguità spaziale). Oppure vedo una foto di quest'estate e la collego ad un episodio (contiguità temporale).
* Causalità: vedo una persona che ha in mano una biro. Se vedo che sta allargando le dita so già che la biro cadrà, perché so che i gravi cadono sempre…. Noi però tendiamo ad attribuire alla causalità un carattere di necessità che non vi è nelle altre due relazioni.
Secondo Hume la conoscenza è induzione, cioè andare dal particolare al generale, ma l’induzione non produce certezze.
Infatti, anche se l’abitudine aiuta a prevedere il futuro, non è certo che qualcosa si ripeta sempre regolarmente.Hume attribuisce al soggetto e all’oggetto la casualità.
rielaborato dal testo di N.Abbagnao "il Nuovo Protagonisti e testi della filosofia" ed. Paravia
mercoledì 24 settembre 2008
martedì 13 maggio 2008
B. SPINOZA
1. Per causa di sé intendo ciò la cui essenza implica l’esistenza, ossia ciò la cui natura non può essere concepita se non come esistente.
2. Si dice finita nel suo genere una cosa che può essere limitata da un’altra della stessa natura. Per esempio diciamo che un corpo è finito perché ne concepiamo sempre un altro più grande. Così pure un pensiero è limitato da un altro pensiero. Ma né un corpo può essere limitato da un pensiero né un pensiero da un corpo.
3. Per sostanza intendo ciò che è in sé ed è concepito per sé: ossia ciò il cui concetto non ha bisogno del concetto di un’altra cosa dal quale debba esser formato.
4. Per attributo intendo ciò che l’intelletto percepisce della sostanza come costituente la sua stessa essenza.
5. Per modo intendo le affezioni della sostanza, ossia ciò che è in altro per mezzo del quale è anche concepito.
6. Per Dio intendo l’ente assolutamente infinito, cioè la sostanza che consta di infiniti attributi, ognuno dei quali esprime un’essenza eterna e infinita.
T.HOBBES(1588-1679)

Stato di natura: homo homini lupus
Detto questo, Hobbes formula la sua teoria politica partendo dalla considerazione attorno stato di natura degli uomini. Per "stato di natura" si intende quello stato in cui gli uomini si trovano prima di prendere la decisione di formare una società (è quindi uno stato ipotetico se pensiamo che la società nasce automaticamente in presenza di più individui). Hobbes afferma che la condizione naturale dell'uomo è l'anarchia, lo stato di guerra derivante dall'assenza delle leggi, gli uomini non sono individui naturalmente sociali, al contrario sono egoisti e tendono a perseguire ciascuno i propri interessi a scapito di quelli degli altri, per cui lo stato di natura si risolverebbe in una "guerra di tutti contro tutti" (bellum omnium contra omnes), una condizione in cui "ciascun uomo è lupo per gli altri uomini" (homo homini lupus). Questa condizione non garantisce nemmeno l'incolumità fisica, perché in assenza di leggi ognuno ha diritto su tutto, compresa la vita degli altri
LO STATO ASSOLUTO: IL LEVITANO
"La sola via per erigere un potere comune che possa essere in grado di difendere gli uomini dall'aggressione straniera e dalle ingiurie reciproche, e con ciò assicurarli in modo tale che la propria industria e con in frutti della terra possano nutrirsi e vivere soddisfatti, è quella di conferire tutti i loro poteri e tutta la loro forza a un uomo o a un'assemblea di uomini che possa ridurre tutte le loro volontà, per mezzo della pluralità delle voci, a una volontà sola." (Leviatano).
Per ovviare a questo stato di guerra senza quartiere, la ragione naturale dell'uomo corre ai ripari e comprende quali sono i mezzi da approntare in vista di quel fine ultimo che è la civile convivenza. Gli uomini decidono dunque razionalmente di cedere i propri diritti sugli altri uomini a un unico uomo (il sovrano) o ad una assemblea.La "volontà sola" dello stato diviene dunque quel principio che serve da argine alla guerra di tutti contro tutti: lo stato si assume il compito di mantenere la pace, preparando il terreno alla prosperità e alla concordi
Lo stato di Hobbes: i caratteri dello stato assoluto
1. Una volta trasferiti i propri diritti allo stato, i sudditi non possono revocarne l'autorità, pena la rivoluzione, la guerra civile e il ritorno allo stato di natura;
2. Il potere sovrano è indivisibile, non può essere diviso tra poteri diversi che formino un sistema di pesi e contrappesi (come accade nelle moderne democrazie). Questo perché se i poteri non fossero d'accordo si cadrebbe nella guerra civile, nella dissoluzione dello stato;
3. Appartiene allo stato il diritto di distinguere il bene dal male, e non ai cittadini (e nemmeno alle religioni). La capacità di distinguere il giusto dall'ingiusto non può essere lasciata all'arbitrio individuale, poiché se tutti seguissero criteri etici individuali l'unità dello stato, nuovamente, si dissolverebbe;
4. I sudditi devono prestarsi all'assoluta obbedienza, anche nel caso in cui ritenessero ingiusti gli ordini ricevuti, in particolare lo stato si erge al di sopra delle sue stesse leggi, nel senso che il sovrano non è legato da nessun tipo di contratto ai suoi sudditi, essi invece stipulano un patto per via negativa, privandosi dei propri poteri;
5. Lo stato coincide con la religione. Non vi è alcuno spazio per un'autorità religiosa al di fuori della sua autorità che pretenda di vincolare i sudditi ad un altro tipo di leggi, ad un altro tipo di principi. Per Hobbes comunità civile e comunità religiosa sono da considerare una sola cosa.
martedì 1 aprile 2008
mercoledì 26 marzo 2008
Una Tazza diTè

Un filososo si recò un giorno da un maestro zen e dichiarò:
"Sono venuto a informarmi sullo Zen, su quali siano i suoi principi ed i suoi scopi".
"Posso offrirti una tazza di tè?" gli domandò il maestro. E cominciò a versare il te da una teiera. Qunado la tazza fu colma, il maestro continuò a versare il liquido, che traboccò.
"Ma che fai?" sbottò il filosofo. "Non vedi che la tazza è piena?"
"Come questa tazza" disse il maestro "anche la tua mente troppo pienadi opinioni e congetture perchè le si possa versare dentro qualcos'altro...come posso spiegarti lo Zen se prima non vuoti la tua tazza di te?"
Le ranocchie nella Panna

"LE RANOCCHIE NELLA PANNA"
(da Lascia che ti racconti di J. Bucay)
C’erano una volta due ranocchie che caddero in un recipiente di panna.Si resero subito conto che sarebbero annegate era impossibile rimanere a galla per tanto tempo in quella massa densa come le sabbie mobili. All’inizio le due rane si misero a sgambettare nel tentativo i raggiungere il bordo del recipiente. Ma era inutile; riuscivano soltanto a sguazzare sul posto e ad affondare. Diventava sempre più difficile risalire e respirare. Una di loro disse ad alta voce: “Non ce la faccio più. E’ impossibile uscire di qui. Non si può nuotare in mezzo a questa roba viscida. E dato che devo morire, non vedo perché prolungare la mia sofferenza. Non riesco proprio a capire che senso abbia morire di sfinimento per uno sforzo inutile.Detto questo smise di scalciare e affondò rapidamente, inghiottita dal denso liquido biancastro. L’altra rana, più costante o forse più cocciuta disse fra sé: “Non c’è verso di salvarsi!! Non si può fare nulla per andare avanti in mezzo a sta roba … e ppure. Anche se la morte si avvicina preferisco lottare fino all’ultimo respiro: non voglio morire neanche un secondo prima che sia giunta la mia ora”. Continuò a sguazzare sempre sul posto, senza muoversi di un millimetro, per ore e ore. E a un tratto, con tutto quello zampettare e ancheggiare, agitare e tirar calci, la panna si trasformò in burro. Meravigliata la ranocchia spiccò un salto e pattinando raggiunse il bordo del recipiente. Lo scavalcò e se ne ritornò a casa gracidando allegramente.